Chi è Giulio Tarro?
Nelle nostre ricerche cerchiamo sempre di attualizzare il passato per farvi comprendere che il Museo Artistico Politecnico della Fondazione è un Museo vivo che dialoga con il passato, racconta il presente e si evolve in nuove forme mirando al futuro. Proprio per questo oggi riportiamo l’intervista di Giulio Tarro, già professore di Virologia Oncologica dell’Università di Napoli, primario emerito dell’Ospedale “D. Cotugno”, è stato “figlio scientifico” di Albert B. Sabin. Per primi hanno studiato l’associazione dei virus con alcuni tumori dell’uomo presso l’Università di Cincinnati, Ohio. Vogliamo riportare questa sua intervista tratta dal Il Quotidiano del Sud e mostrarvi la foto autografa conservata nella nostra fototeca che lo ritrae negli anni Ottanta del Novecento. #IORESTOACASA #MUSAPRACCONTA #IOLEGGOACASA
Professore, l’Oms ha annunciato la pandemia…
«Già da tempo il virus era da considerarsi una pandemia, perché già da tempo aveva invaso tutti i continenti. È stato un annuncio tardivo».
A cosa attribuisce il ritardo?
«Fin da subito l’Oms ha iniziato ad accumulare ritardi sull’osservazione di questo virus. Il punto è che non sempre i generali si chiamano Diaz, ci sono anche i Cadorna…»
Come valuta invece le decisioni del governo italiano?
«Anche qui da noi ho l’impressione che la stalla sia stata chiusa quando i buoi erano già fuggiti».
I numeri su scala internazionale non tornano. In Germania su quasi 2.400 contagi hanno avuto 5 morti, nella sola Emilia-Romagna l’altro ieri su 1.739 contagiati, i morti erano 113…
«I numeri variano in base alle diagnosi. Prendo l’esempio della Cina: la percentuale di mortalità è ufficialmente poco sotto il 3%, ma se si contassero anche gli asintomatici si stima che sarebbe inferiore all’1%. Se in Italia ci limitiamo a contare i pazienti ricoverati, abbiamo un rapporto contagi/decessi molto più alto che altrove. E avendo per primi in Europa reso pubblica l’epidemia da coronavirus, siamo stati imprudenti, giacché abbiamo veicolato all’estero l’immagine di un Paese da cui stare alla larga».
Se la discrepanza con gli altri Paesi è solo dovuta alle differenti diagnosi, come spiega che gli ospedali in Lombardia sono in ginocchio?
«Con i tagli alla sanità compiuti negli anni. Già nell’inverno 2018, a causa di un’epidemia influenzale, gli ospedali lombardi si trovarono sovraccarichi. E vedo che oggi non c’è tempestività per riparare a quegli errori. Appena è scoppiata l’epidemia in Cina, la Francia ha avviato un piano per moltiplicare i posti letto in terapia intensiva. Noi ci stiamo muovendo per farlo solo ora».
Come spiega invece che il virus attualmente non si sta diffondendo al Sud?
«L’illustre collega Robert Gallo ha notato che la diffusione sta avvenendo da Est a Ovest, e che non è affatto scontato che si sposti a Sud. Le temperature più alte possono essere una parziale spiegazione».
L’opinione pubblica è confusa. La causa può essere anche il susseguirsi sui media di pareri spesso discordanti dei suoi colleghi?
«Ha messo il dito nella piaga! Personalmente posso affermare di avere una certa esperienza nel campo della virologia. Non tutti i colleghi che aprono bocca davanti a un microfono hanno le competenze per poterlo fare. Non tutti sono in grado di dare messaggi utili alla popolazione».
Lei che messaggio utile vuole dare?
«Non farsi prendere dal panico. Ricordo che oltre alla cattiva alimentazione e agli stili di vita sregolati, il nostro sistema immunitario può essere compromesso dallo stress. Questi “bollettini di guerra” costantemente diffusi dai media non aiutano».
Paragonare il coronavirus a una brutta influenza significa minimizzare in modo irresponsabile?
«Le diagnosi non si fanno sui sintomi, ma in laboratorio. Certamente ci sono molte similitudini, ma purtroppo questa variante di coronavirus può colpire i polmoni e, se diventa polmonite interstiziale, può richiedere la terapia intensiva».
Che sviluppi avrà il virus?
«La speranza è che dopo il picco, previsto tra fine marzo e inizio aprile, si potrà avere una discesa fino alla scomparsa con l’ingresso dell’estate».
Ora che è stata annunciata la pandemia cambia qualcosa per lo studio del vaccino?
«Certo. La situazione d’emergenza autorizza la messa in commercio di un vaccino senza i cosiddetti “clinical trials”, ossia senza la sperimentazione».
E quando potrebbe essere pronto?
«Nei giorni scorsi si parlava di 18 mesi. Ora che la pandemia ha eliminato le prove cliniche, anche prima. Chissà, forse per l’autunno prossimo».