Novembre 2022
A breve ci saranno i Mondiali, per la prima volta d’inverno: qual è il rapporto che il Circolo e la Fondazione hanno avuto con lo sport durante l’ultimo secolo?
Il Circolo Artistico Politecnico, progenitore della Fondazione, ha avuto, sin dalla nascita, una particolare attenzione al sociale, inteso come incontro e confronto tra culture, abitudini, aspettative e prospettive. Tutta l’attività è stata dedicata al confronto come strumento per la crescita. I dibattiti culturali, le esposizioni d’arte, gli incontri musicali, culinari, il gioco delle carte, intesi come confronto sportivo, gara tra professionalità. La competizione è il fondamento dello sport. Anche quando si gareggia in solitudine, la sfida è nei nuovi record. Ma credo che la domanda intenda conoscere quali attività, classicamente incardinate nel termine sport, il Circolo Artistico Politecnico ha svolto nel corso della sua vita. Le discipline nelle quali i soci e/o gli allievi della Istituzione sono emersi sono: Danza Classica, Ginnastica Ritmica, scherma, Scacchi e, marginalmente, il calcio. Le Scuole di Danza Classica e Ginnastica ritmica sono state le antesignane, attive sin dal 1963, guidate da maestri di notevole spessore. Tra essi è doveroso ricordare la Professoressa Danta Morello, personaggio di immenso valore umano e sportivo, diplomata al Teatro Scala di Milano e poi all’Accademia di Jia Ruskaja. Tra i suoi trofei spiccano le medaglie d’Oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 e quella del Ministero della Pubblica Istruzione. Molto mi ha colpito e sorpreso, apprendere che le materie d’insegnamento della Scuola non erano limitate alla Ginnastica ritmica e alla Danza classica: si studiavano anche Storia dell’arte, Storia della Musica, Storia della Danza e Storia del Costume. L’ Accademia Napoletana degli Scacchi, fondata il 20 dicembre 1953 dai maestri internazionali Dario Cecaro, Federico D’Ipollito, Giorgio Porreca, Franco e Bruno Trezza, è stata attiva fino agli anni ’90 del secolo scorso. Anche il Sindaco di Napoli dell’epoca, l’ingegnere Bruno Milanesi, era assiduo frequentatore delle sale scacchi, sistemate nell’ala del palazzo su via Nardones 8. Moltissimi sono stati i tornei con partecipazioni di scacchisti italiani e stranieri. Epici gli scontri con le delegazioni spagnole, francesi e dall’est europeo. Numerosi gli incontri multipli nel corso dei quali uno dei Maestri del Circolo affrontava in contemporanea anche quaranta avversari. Molti gli spettatori incuriositi nel vedere il maestro spostarsi, in piedi, da un tavolo all’altro ed effettuare la mossa giusta. Il tempo di ogni mossa per il maestro era molto limitato perché l’insieme delle partite non doveva superare le due ore. Anima dell’Accademia era il Maestro Cecaro, oggi Consigliere di Amministrazione della Fondazione. Intensa l’attività della scuola riservata ai giovani del Territorio. Interessanti le partite lampo: le mosse di ciascun atleta erano scadenzate dall’orologio doppio: lo scontro non poteva superare i 5 minuti. Si vinceva o perdeva per scacco matto o per la caduta della bandierina dell’orologio. Gli scacchi sono uno sport stressante, sia dal punto di vista mentale che da quello fisico. Vince chi mantiene più a lungo la lucidità, la coordinazione e la rapidità. Era l’epoca della sfida storica tra il mito del mondo occidentale Bobby Fischer e l’astro sovietico nascente, Anatoly Karpov. Vinse quest’ultimo, come aveva previsto il nostro campione Giorgio Porreca: da troppo tempo Fischer mancava dalle competizioni. Le Scuole di Danza Classica e Ginnastica ritmica sono state le antesignane, attive sin dal 1963, guidate da maestri di notevole spessore. Tra essi è doveroso ricordare la Professoressa Danta Morello, personaggio di immenso valore umano e sportivo, diplomata al Teatro Scala di Milano e poi all’Accademia di Jia Ruskaja. Tra i suoi trofei spiccano le medaglie d’Oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 e quella del Ministero della Pubblica Istruzione. Molto mi ha colpito e sorpreso, apprendere che le materie d’insegnamento della Scuola non erano limitate alla Ginnastica ritmica e alla Danza classica: si studiavano anche Storia dell’arte, Storia della Musica, Storia della Danza e Storia del Costume. L’ Accademia Napoletana degli Scacchi, fondata il 20 dicembre 1953 dai maestri internazionali Dario Cecaro, Federico D’Ipollito, Giorgio Porreca, Franco e Bruno Trezza, è stata attiva fino agli anni ’90 del secolo scorso. Anche il Sindaco di Napoli dell’epoca, l’ingegnere Bruno Milanesi, era assiduo frequentatore delle sale scacchi, sistemate nell’ala del palazzo su via Nardones 8. Moltissimi sono stati i tornei con partecipazioni di scacchisti italiani e stranieri. Epici gli scontri con le delegazioni spagnole, francesi e dall’est europeo. Numerosi gli incontri multipli nel corso dei quali uno dei Maestri del Circolo affrontava in contemporanea anche quaranta avversari. Molti gli spettatori incuriositi nel vedere il maestro spostarsi, in piedi, da un tavolo all’altro ed effettuare la mossa giusta. Il tempo di ogni mossa per il maestro era molto limitato perché l’insieme delle partite non doveva superare le due ore. Anima dell’Accademia era il Maestro Cecaro, oggi Consigliere di Amministrazione della Fondazione. Intensa l’attività della scuola riservata ai giovani del Territorio. Interessanti le partite lampo: le mosse di ciascun atleta erano scadenzate dall’orologio doppio: lo scontro non poteva superare i 5 minuti. Si vinceva o perdeva per scacco matto o per la caduta della bandierina dell’orologio. Gli scacchi sono uno sport stressante, sia dal punto di vista mentale che da quello fisico. Vince chi mantiene più a lungo la lucidità, la coordinazione e la rapidità. Era l’epoca della sfida storica tra il mito del mondo occidentale Bobby Fischer e l’astro sovietico nascente, Anatoly Karpov. Vinse quest’ultimo, come aveva previsto il nostro campione Giorgio Porreca: da troppo tempo Fischer mancava dalle competizioni. L’apertura a settembre era definita da tempo. Si attendevano soltanto conferme delle partecipazioni del Sindaco di Napoli e del Presidente della Regione Campania, presenze indispensabili. Non sarebbe stata una semplice riapertura della nostra sede storica con i suoi 134 anni d’attività, ma la celebrazione di un risultato unico nel Territorio: MUSAP è frutto della nostra visione, lungimiranza, passione e lavoro costante. La strabiliante mutazione di un Circolo Sociale in un Sito d’Arte e Cultura. Il concreto giacimento per favorire la diffusione della capacità del popolo napoletano e contribuire alla crescita degli attrattori del turismo culturale.
Pur collocati in un palazzo che evidenzia, con desolante crudezza, le endemiche distrazioni di cittadini e autorità verso la dovuta attività in difesa e valorizzazione del patrimonio storico del Paese (Palazzo Zapata, già sede del Viceré di Napoli, il Cardinale Zapata), abbiamo lavorato intensamente, sin da prima della pandemia e, ancora più intensamente, nel durante, tra mille difficoltà e totale indifferenza di istituzioni e media, per realizzare il progetto di rivisitazione ambientale ed espositiva del sito.
Siamo davvero contrariati per la situazione, oltre ogni possibile immaginazione: non è stato possibile riaprire a settembre perché, alle prime pioggerelle, alcune sale espositive e le opere in esse esposte, appena restaurate, sono state aggredite, ancora una volta, dalle infiltrazioni, con annessi acqua, calcinacci e pietrisco, i quali, se non fossero stati fermati dalle balconate della Fondazione, sarebbero precipitati sui passanti e sui marciapiedi di piazza Trieste e Trento. Siamo ora costretti ad attendere che il condominio, responsabile dei mancati interventi, nonostante il clima favorevole di questi mesi del 2022, rimuova le cause. Dopo, dovremo risistemare nuovamente tutto. Insomma, sebbene siamo in paziente attesa che qualche responsabile pubblico si svegli. La strabiliante mutazione di un Circolo Sociale in un Sito d’Arte e Cultura. Il concreto giacimento per favorire la diffusione della capacità del popolo napoletano e contribuire alla crescita degli attrattori del turismo culturale.
Pur collocati in un palazzo che evidenzia, con desolante crudezza, le endemiche distrazioni di cittadini e autorità verso la dovuta attività in difesa e valorizzazione del patrimonio storico del Paese (Palazzo Zapata, già sede del Viceré di Napoli, il Cardinale Zapata), abbiamo lavorato intensamente, sin da prima della pandemia e, ancora più intensamente, nel durante, tra mille difficoltà e totale indifferenza di istituzioni e media, per realizzare il progetto di rivisitazione ambientale ed espositiva del sito.
Siamo davvero contrariati per la situazione, oltre ogni possibile immaginazione: non è stato possibile riaprire a settembre perché, alle prime pioggerelle, alcune sale espositive e le opere in esse esposte, appena restaurate, sono state aggredite, ancora una volta, dalle infiltrazioni, con annessi acqua, calcinacci e pietrisco, i quali, se non fossero stati fermati dalle balconate della Fondazione, sarebbero precipitati sui passanti e sui marciapiedi di piazza Trieste e Trento. Siamo ora costretti ad attendere che il condominio, responsabile dei mancati interventi, nonostante il clima favorevole di questi mesi del 2022, rimuova le cause. Dopo, dovremo risistemare nuovamente tutto. Insomma, sebbene siamo in paziente attesa che qualche responsabile pubblico si svegli.
Il vincitore del premio Nobel per la medicina Svante Pääbo è figlio del Nobel per la medicina del 1982: il biochimico Sune Karl Bergstrom. Lei crede che talento, capacità e creatività siano valori ereditari? Ci sono stati pittori o letterati al Musap che hanno tramandato il loro talento ai figli?
Più volte assistiamo all’assegnazione di trofei eccelsi a figli di personalità che hanno conquistato analogo risultato. L’assegnazione del Premio Nobel citato non è altro che un ennesimo esempio di una specie di ereditarietà non certificata. In tutti i campi assistiamo a performance di figli o nipoti di grandi personalità: dal lavoro, alla ricerca, allo sport, all’arte, alla cultura. Tutto ciò ci fa immaginare che si tratti del DNA presente in ciascuno di noi, con le eccezioni del caso e, perché no, con la cultura e l’applicazione, aggiunti all’emulazione di chi li ha preceduti. Nella storia della nostra Fondazione abbiamo molti esempi diretti di tali fenomeni: la scultrice Terra, figlia dello scultore Giuseppe Renda; Raffaele Scorzelli, figlio dell’artista Eugenio; Alessandro Altamura, pittore, figlio del grande Francesco Saverio; Diana, pittrice, grafica, ceramista, figlia di Manfredi Franco; Massimo Verio, pittore, figlio di Alberto Chiancone; Renato Passaro figlio pittore di Paolo Emilio Passero; Renata, pittrice, figlia di Gaetano Bocchetti. E potrei prolungarmi nell’elenco. Alla sua domanda risponderei sì: capacità e talento sono valori ereditari.
Qual è a suo avviso l’opera più importante esposta al Musap e perché?
Tutte le 600 opere della Fondazione esposte nel MUSAP, sono per me “le più importanti”. Sono troppo integrato nella Fondazione perché possa avere una predilezione. Troppi gli anni per costruirla e sistemarla. Ogni opera esposta o in deposito, rappresenta un tassello importante dell’arte che dall’’800 giunge a oggi, e la considero come un figlio. La domanda, quindi, mi pone in difficoltà. Mi chiede quale sia l’opera più significativa, senza dirmi da quale punto di vista: se è quello tecnico-pittorico, devo dire subito “Attrazione” di Francesco Galante. L’opera mostra al visitatore un’impostazione di tipo tradizionale accoppiata a un rinnovamento nel linguaggio pittorico, soprattutto nell’utilizzo di colori chiari senza contrasti chiaroscurali e nella composizione in cui gioca con figure viste di spalle. Incuriosisce per le fattezze del volto della donna e per la duplicazione dell’immagine del bambino riflesso nello specchio. È un riferimento alle correnti francesi di fine Ottocento come Nabis e simbolisti nel significato criptico dell’immagine. Ma, non posso né voglio fermarmi. Moltissime altre opere suscitano l’attenzione del pubblico. I visitatori sono totalmente catturati dagli accoppiamenti con le sculture e dalle ambientazioni uniche. Ciò che maggiormente mi affascina è trovarmi al cospetto di oltre 20 sovrapporte, tutte uguali nella dimensione ma varie nei soggetti. Le sette sovrapporte della sala storica Comencini, nel fascino dell’architettura Liberty, sembrano realizzate dalla stessa mano. Ma non è così: sono tutte di maestri differenti. Vetri, Farneti, Borgoni, Jerace, Biondi, Petrone, Migliaro ne sono gli artefici. Cosa pensare? In un’epoca di contrapposizione e lotte per accreditarsi il mecenate di turno, il Circolo Artistico Politecnico era l’isola felice, nella quale tutti gli artisti erano affratellati per realizzare un ambiente unico che li accumunasse. Un luogo dove la competizione era sulla capacità espressiva e realizzativa, non sulla distruzione verbale e diffamatoria del collega. Da questo punto di vista, l’Artistico, oggi la Fondazione, era ed è il Pantheon della fratellanza degli artisti.
Su 370 musei internazionali, 300 hanno chiuso, causa Covid, per un numero totale di giorni che ammonta a più di 31mila, l’equivalente di 86 anni! Ha qualche considerazione su questa inquietante statistica?
La sua domanda fa riemergere in me un amaro articolo de “Il Sole 24 Ore”. Gli effetti della Pandemia e del conseguente Lock down sono stati devastanti. Il procedere delle disposizioni governative e regionali ha messo al tappeto la maggior parte dei musei: 300 su 370 sono veramente tanti. Perdere 31.000 giorni di aperture e visite è difficile da assorbire, non solo per l’aspetto economico della gestione. Ricordo che in quei giorni mi impressionò moltissimo apprendere che il Metropolitan Museum of Art di New York avesse ipotizzato la vendita di alcune opere della Collezione: diversamente non avrebbe potuto sostenere i costi di gestione che, inesorabilmente, procedevano nella loro abituale crescita. Anche le nostre difficoltà sono state immense. Dopo anni di lavoro per mutare il circolo sociale in sito museale polivalente, per penetrare il tessuto artistico di Napoli, ricco di sedi d’arte e affermare la nostra immagine di luogo di arte e cultura, abbiamo subito un brusco stop dalle disposizioni governative e regionali accavallatesi con perfida velocità. In più, nonostante l’allentarsi delle norme, ci siamo dovuti fermare ugualmente per adeguare il percorso espositivo ed evitare la diffusione dei contagi: contingentamento degli ingressi, percorso di visita lineare, sale lettura autonome, cordoni di distanziamento tra visitatori e opere, utilizzo di strumenti informativi monouso, sanificazioni periodiche, controllo delle certificazioni e tanto altro. Oltre 700 giorni persi dalla nostra struttura, l’equivalente di 3 anni. Potranno sembrare pochi rispetto ai 31.000 complessivi, ma per noi sono una enormità. Si sono ben difesi invece il Reina Sofia a Madrid, i Musei Vaticani a Roma, il Pompidou a Parigi e gli Uffizi e le Gallerie dell’Accademia di Firenze e il Museo Egizio di Torino. Ma la grave situazione mondiale ha evidenziato effetti differenti tra i diversi Paesi e musei: l’Italia, con il suo considerevole patrimonio artistico, ben superiore a quello di ogni altro Paese, e la nostra Napoli, particolarmente dipendente dal turismo culturale, hanno maggiormente patito gli effetti pandemici. Altrettanto dicasi per le differenze tra musei statali e privati, i primi assistiti dal sostegno pubblico, i secondi dipendenti dalla sola capacità attrattiva che richiede notevoli interventi finanziari per la conservazione delle opere e il mantenimento costante di un’accoglienza di livello per attrarre visitatori. Il nostro compito è stato quello di tramutare la catastrofe in opportunità: non dimenticare di programmare interventi, organici e strutturali, coinvolgendo l’intero tessuto amministrativo, politico, sociale, economico e finanziario. La Pandemia ha mostrato che Napoli ha ereditato un giacimento inestimabile che da secoli attende di essere sfruttato.